diretto da Maria Silvia Sacchi

Pharrell e la moda alla costante ricerca di felicità 

Il musicista americano ha creato un evento, che non è solo una sfilata, è un brand statement che incarna il potere e il successo globale raggiunto dal brand e dal gruppo a cui appartiene. La questione che si apre però è un’altra: quanto potrà durare questo ritmo forsennato?

Pharrell e la moda alla costante ricerca di felicità 

Louis Vuitton ha sfilato tre giorni fa presentando la prima collezione uomo firmata da un visionario eclettico come Pharrell.

Il musicista americano ha creato uno show nel cuore di Parigi, in un’area molto cara a Lvmh e il suo fondatore Bernard Arnault che raggruppa in poche centinaia di metri la sede storica di Louis Vuitton, l’hotel di lusso Cheval Blanc e il department store La Samaritaine, in un luogo speciale ed iconico come il Pont Neuf.

Questo evento, che non è solo una sfilata, è un brand statement che incarna il potere e il successo globale raggiunto dal brand e dal gruppo a cui appartiene.

Il nuovo amministratore delegato, Pietro Beccari, ha inaugurato i suoi primi mesi di gestione con due sfilate, una della collezione donna in Italia, all’Isola Bella (che è stata accolta a dir poco freddamente) e l’altra con il lancio della collaborazione con Pharrell a Parigi che è stata acclamata e livello mondiale.

D’altronde, mentre Nicolas Guesquiere fa parte della vecchia guardia (e in molti si interrogano sulla sua riconferma) Pharrell è stata la scelta di Beccari, che ha voluto chiaramente dare un’aura di continuità alla direzione data dal compianto Virgil Abloh insieme a una sterzata verso un livello di entertainment come raramente si era visto nella moda.

Pharrell ha svolto bene il suo ruolo di direttore d’orchestra giocando su piani diversi: la collezione, il set, la musica, le celebrità ed il bilanciamento tra radici parigine e l’allure internazionale del marchio.

In un brand corporation come Louis Vuitton ormai non ha più senso il ruolo del designer quanto piuttosto quello dell’ autore di un’opera holliwoodiana che mira a conquistare il mondo.

Tra cenni al rinnegato Kanye West con il coro gospel che canta un moderno inno alla gioia, una passerella giallo sole al tramonto, celebrità globali ormai partner del gruppo francese come Beyonce’, Jay Z, Rihanna e creativi iconici come Stefano Pilati che sfila in passerella, sembra anche divertendosi, e l’after show in cui il direttore creativo ed i suoi amici sembrano improvvisare un happening, il mood del momento diventa quello del divertimento a tutti i costi, di un’esplosione di energia irrefrenabile e coinvolgente in cui tutti sono partecipi e forse anche un po’ protagonisti, dai collaboratori del design studio alle persone della vita reale che mostrano se stesse sfilando in passerella.

In un contesto in cui il prodotto è uno dei vari elementi della narrativa, e forse nemmeno quello centrale, anche se è stato accortamente sviluppato con un gusto commerciale spiccato.

L’esordio è stato sicuramente una bomba lanciata ad arte in un momento in cui la moda pensava di ritirarsi nella discrezione di un lusso sussurrato ed invisibile e lancia il guanto di sfida a concorrenti in affanno come Gucci, Burberry ed altri.

La questione che si apre però è un’altra: quanto potrà durare questo ritmo forsennato, questa ricerca costante della dopamina, questo pazzesco livello di investimenti per tenere alta l’attenzione e nutrire una crescita che sperano inarrestabile? 

Dai bauli da viaggio al Monogram che invade quartieri interi con installazioni artistiche, dagli hotel all’ happening costante, quanto tutto questo rischia l’ennesima saturazione del messaggio e l’esaurimento dell’ appetibilità del brand?

Quanto la fiesta di hemingwaiana memoria rischia di sfinire gli stessi partecipanti e spettatori?

Quale sarà il ritmo che il brand potrà sostenere senza rischiare di dissolversi per eccessiva tensione?

Esiste un limite alla felicità?

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